Trans-Pacific Partnership: le prime iniziative di Donald Trump

Fra le prime dichiarazioni del presidente eletto degli USA Donald Trump rileva, sul versante della politica estera, quella per cui il TPP (Trans-Pacific Partnership) non sarebbe più un accordo di interesse per gli Stati Unti d’America. Trump ha infatti dichiarato di ritenere il TPP un potenziale disastro per l’economia statunitense ed ha affermato che il primo giorno in cui si insedierà effettivamente alla Casa Bianca provvederà alle opportune iniziative affinché non sia ratificato l’accordo TPP.

Il TTP è un accordo commerciale le cui negoziazioni, durate 7 anni, si sono concluse il 2 febbraio 2016 con la firma del testo definitivo dell’accordo. Gli stati che hanno partecipato alle negoziazioni sono 12: Stati Uniti e altri 11 paesi del pacific rim (Australia, Giappone, Canada, Messico, Nuova Zelanda, Malesia, Singapore, Cile, Brunei, Vietnam e Perù). Gli Stati Uniti presero parte alle negoziazioni nel 2008 durante l’ultimo anno dell’amministrazione Bush e, successivamente, l’amministrazione Obama ha impostato la sua posizione negoziale con lo scopo di fare del TPP lo strumento principale attraverso il quale realizzare i propri obiettivi di ribilanciamento della politica estera verso il sud est asiatico e di cauta collaborazione con la Cina; obiettivi che Trump non è intenzionato a perseguire. Fra le conseguenze di una rinuncia degli USA al TPP vi sarebbe ovviamente il tentativo da parte della Cina di occupare la posizione di egemonia che di fatto gli Stati Uniti abbandonerebbero.

 

Questa opinione, oltre ad avere un ovvio impatto sui rapporti con gli Stati Parte dell’accordo, testimonia la volontà del presidente eletto di stravolgere le direttive principali lungo cui si svolgeva la politica commerciale degli Stati Uniti: questi, già durante la campagna elettorale, ha mostrato il suo sfavore nei confronti di accordi commerciali di libero scambio multilaterali come il TPP e nella dichiarazione di cui abbiamo detto sopra ha espressamente precisato che il suo governo favorirà piuttosto gli accordi commerciali bilaterali. Questa potrebbe essere la ragione per cui Trump, pur avendo in passato manifestato dubbi circa la continuazione delle negoziazioni del TTIP, non ne ha drasticamente escluso la conclusione.

Immaginato come finalizzato ad approfondire l’integrazione economica della regione, questo accordo mira alla eliminazione delle barriere tariffarie allo scambio di merci e basa lo scambio di servizi sul principio di non discriminazione; non diversamente dal TTIP e dalle indicazioni provenienti dalle ultime negoziazioni WTO. I settori su cui si sono concentrati i negoziatori sono simili a quelli che compongono la struttura principale del TTIP, a dimostrazione del fatto che entrambi gli accordi regionali sono una reazione al fallimento del Doha Development Round in ambito WTO.

TPP e TTIP sono in due fasi diverse della loro formazione: le negoziazioni del TTIP sono giunte al loro quindicesimo round, svoltosi a New York lo scorso ottobre; il TPP è invece un accordo internazionale che ha superato la fase della firma.

Decorre ora un periodo di due anni entro il quale le Parti possono procedere alla ratifica dell’accordo secondo la procedura prevista da ogni Stato coinvolto. L’accordo entrerà in vigore dopo la ratifica di tutti gli stati parte se questo avverrà entro due anni dalla firma; altrimenti sarà necessario che venga ratificato da almeno 6 stati che insieme producano più dell’85% del PIL totale dei Paesi che hanno firmato l’accordo. L’ultima condizione fa sì che la volontà di ratificare degli USA sia indispensabile per l’entrata in vigore del TPP.

 

Lo scetticismo circa la ratifica dell’accordo non riguarda solo gli Stati Uniti; infatti il ministro dell’economia giapponese, strenuo promotore dell’accordo, si è dimesso all’inizio del 2016; un esponente del governo cileno e Chrystia Freeland (ministro canadese del commercio internazionale) hanno subordinato la ratifica ad una maggiore discussione dei contenuti dell’accordo sia nei rispettivi parlamenti che fra i cittadini; infine alcuni degli stati negoziatori valutano la possibilità di giungere alla ratifica di un diverso accordo internazionale senza la partecipazione degli Usa.