Dentro L’Europa – In arrivo il nuovo Accordo Interistituzionale “Legiferare meglio”

La commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo discute martedì 23 febbraio gli emendamenti al progetto di Accordo interistituzionale Legiferare meglio, concordato col Consiglio e con la Commissione. La votazione finale è in calendario per la plenaria di Bruxelles di mercoledì 24 febbraio.

La bozza, licenziata con la collaborazione dei Servizi giuridici delle istituzioni, è articolata e abbastanza ambiziosa, proponendosi di sostituire sia il precedente Accordo del 2003 sia l’Intesa comune sugli atti delegati, stipulata nel 2013. Il testo che si avvia all’approvazione definitiva contiene strumenti, in realtà, abbastanza eterogenei sotto il profilo concettuale. In prima battuta segna l’impegno, per le tre istituzioni coinvolte, a una legislazione chiara e comprensibile; allo scopo, pone l’accento sugli strumenti di semplificazione formale, come la codificazione o la rifusione. Subordina però quest’impegno al raggiungimento degli scopi previsti dal Trattato; evidenziando il nesso fra qualità formale e qualità contenutistica, apre al livello sostanziale del negoziato sul merito. Gli strumenti di semplificazione formale si leggono allora in uno all’obbligo di consultazioni, che vede la Commissione impegnata ad assicurare la partecipazione dei portatori di interessi – in misura che il Parlamento vorrebbe più massiccia e trasparente quanto alla selezione degli interlocutori – alla stesura della proposta di atto normativo. Emerge allora l’importanza del negoziato pre-legislativo, in cui si dispiega il potere di agenda-setting; il Parlamento, finora poco coinvolto in questo cruciale momento della produzione giuridica, cerca di guadagnare terreno reclamando precisi diritti di informazione e partecipazione, in forza del principio per cui i co-legislatori stanno su di un piede di parità. Sempre sul merito, inoltre, si gioca la portata delle valutazioni d’impatto della regolazione (sia ex ante, sia ex post) cui la Commissione è tenuta e che vedono altresì impegnato considerevolmente il Parlamento europeo. Il significato di tali valutazioni si coglie sul duplice crinale della qualità contenutistica della regolazione e dei rapporti politico-istituzionali fra Stati e Unione. Se da un lato esse presentano un’analisi costi-benefici e un’analisi delle conseguenze, sul piano giuridico, che la disciplina proposta comporterebbe, d’altro lato devono esplicitare il valore aggiunto dell’intervento normativo europeo, ivi compresa l’ipotesi della non-regolazione, ossia del mancato intervento dell’Unione. In tale modo, i principi di sussidiarietà e proporzionalità vedono crescere uno spazio autonomo per un apprezzamento politico che coinvolga in modo sempre più intenso i Parlamenti nazionali. In ultima analisi, le relazioni interistituzionali nelle varie fasi della regolazione, che portano all’adozione dei relativi atti giuridici, vengono passate accuratamente in rassegna; in particolare, agli atti delegati è dedicato un testo nuovo, che sostituisce la precedente Intesa comune. Mette conto di notare, in questo senso, che alcune delle prescrizioni cui le istituzioni si obbligano contraddicono – talvolta esplicitamente – la lettera del Trattato; è il caso del termine per l’esercizio della delega, espressamente previsto come obbligatorio dall’art. 290 TFUE ma considerato solo eventuale dal testo dell’Accordo interistituzionale in via di approvazione.

Si tratta insomma di uno strumento di notevole portata, a tutto tondo, che estende la propria area di operatività sull’intero ambito delle relazioni fra le istituzioni della produzione giuridica europea fra Stati e Unione. Non mancano infatti le critiche: particolarmente rumorosa quella legata a non poche associazioni ambientaliste, che lamentano l’assenza di strumenti volti a rendere esplicito il contemperamento del valore ambientale nella decisione che conduce a un atto normativo. Ne conseguirebbe uno spazio autonomo e visibile per la ponderazione dei problemi legati, di volta in volta, all’ambiente nel suo complesso, sì da poter verificare la responsabilità politica di chi abbia preso le correlative decisioni e costringere ad esplicita motivazione – se del caso, impugnabile davanti alla Corte – chi volesse disattendere le prescrizioni che da tale ponderazione si vorrebbero far discendere.